mercoledì 22 aprile 2015

LA FONTANA - Angela Niosi -

LA FONTANA
- Angela Niosi -


Ogni quartiere ne aveva una.
Sporgeva dal muro  con un rubinetto a forma di margherita che finiva con una piccola proboscide; di solito era arrugginito e si faceva fatica a girarlo. In più, c’era sempre qualcuno con una forza superiore che l’avvitava così stretto- per non farlo gocciolare e quindi spardare acqua - si giustificava, che ci voleva una forza equivalente per riaprirlo.
Sotto alla fontana, un semicerchio di pietra circondato da un cordolo, permetteva di appoggiare secchi, bagnaroli, bumbuli e quartari che venivano riempiti per le necessità della casa.
Bisognava andare all’ora giusta perché , se ci andavi nell’ora di punta, rischiavi di rimanere in attesa anche delle ore. Non era in vigore il rispetto della fila, c’era sempre il prepotente che aveva delle improbabili incombenze che l’aspettavano. I bambini, poi, erano sempre ultimi.
Se il recipiente era grande, si andava in due e bisognava essere ben sincronizzati nel trasporto, altrimenti rischiavi di rovesciarne una buona parte lungo il tragitto per via dell’ondulazione che faceva sollevare piccole onde dispettose. Si arrivava a casa sempre mezzi bagnati.
Circolava una leggenda che sentivo raccontare da bambina. Si sussurrava che ,di notte, uscivano le magare, sorta di streghe dotate di poteri malefici. Anche esse andavano a rifornirsi d’acqua alle fontane. Per potersi servire senza essere disturbate, urlavano e facevano un fracasso di pentole allo scopo di spaventare le donne che  si recavano a riempire i recipienti a quell’ora ,per trovare la fontana più libera dall’affollamento del giorno.
In seguito, ho scoperto che non era affatto così.
 La verità era che le urla e il rumore erano provocati da qualche burlone, per  fare piazza pulita dei clienti  notturni della fontana che fuggivano via terrorizzati. Ricordo che ero rimasta delusa da questa spiegazione razionale. Preferivo immaginare streghe forsennate sospese a mezz’aria, lunghi capelli neri e bocche sdentate, anche se ne avevo un po’ paura.
Ma la regina, per me, era lei: la fontana di via Pozzo.
Era diversa dalle altre.
Non ti accorgevi di essa fin quando, arrampicandoti lungo la via che sbandava in curve asimmetriche,non  te la trovavi di fianco. Ne sospettavi la presenza solo un po’ prima di vederla, nel  breve rettilineo che interrompeva la salita dove ansimavano  le macchine che parevano sempre sul punto di scivolare all’indietro.
Prima scorgevi un accenno di pancia e, quando arrivavi al breve tratto pianeggiante, lei si mostrava in tutta la sua bellezza. O, almeno così sembrava a me.
Sospesa, assomigliava ad una  acquasantiera. Era perennemente umida , con una peluria di muschio incollata al muro attorno al rubinetto.
L’acqua che ne fluiva era freschissima, le sue erano nobili origini, proveniva infatti da una sorgiva di un monte incantato.
Dava ristoro ai passanti che si fermavano presso di lei per rinfrescarsi la bocca oltre che  riposarsi dalla fatica della ripida salita.
Dava ristoro ai bambini, che spintonandosi per la fretta di riprendere i giochi,attaccavano il muso alla proboscide  e bevevano avidamente  per combattere la calura delle pazze corse estive, e poi si asciugavano la bocca gocciolante con il dorso della mano.
Io  la consideravo mia per il fatto che si trovava vicino alla mia casa dalla quale  era separata da una lunga scalinata ,occupata abusivamente da fastidiose ortiche.
Ne ero quasi gelosa e,quando capitava che il rubinetto si guastasse lasciando scorrere senza controllo l’acqua preziosa, soffrivo con lei e chiedevo con insistenza a mio padre di trovare un rimedio.
Un brutto giorno  trovai , sopra l’attaccatura del rubinetto ,una scritta stilata con vernice rossa.

Diceva, ma a me pareva che gridasse, “ACQUA NON POTABILE”. Dai discorsi dei grandi, capii che erano stati trovati animali morti dentro il condotto. Fu, per me, un grande dolore!  

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