giovedì 22 gennaio 2015

HANNO COLLABORATO CON NOI!


I NOSTRI SPONSOR: GENNAIO 2015



Racconto – La Donna e il Pircante Storico - Reale - Misterioso Fantastico - Antonia Maria Orifici

Racconto – La Donna e il Pircante
Storico - Reale - Misterioso - Fantastico
Mia nonna mi raccontava che tanto tanto tempo fa, nelle vicinanze di casa sua, viveva una vecchietta che la chiamavano Donna Maria Antonia; morto il marito, la donna si sposò con un signore, Mastro Carmine e lavoravano entrambi la terra.
Si racconta che la vecchietta badava alla famiglia e l‟accudiva con tanto amore. Tutti i giorni vedeva sempre un signore col cappello, che si sedeva vicino alla finestra e lavorava la calza con grande interesse. Quando la vecchietta è morta, i parenti hanno restaurato la casa e al posto del denaro trovarono la brace.
Non si sa se era il pircante.
Mi domando chissà cosa rappresentava ai tempi antichi questo signore? Chi sa chi lo sa.
Rimarrà sempre un enigma chiamandosi così: La donna e il pircante del mistero.
Indovinello:Pircante, pircantello, furbetto lavori la calzetta. Cosa nascondi nella tua giarrottella? Denaro o carbonella? Mistero, misterello.

HELLO, MY NAME IS… - VINCENT SCALISI-


HELLO, MY NAME IS…
- VINCENT SCALISI-
Hello, my name is Vincent Scalisi.  I live just outside of Boston Massachusetts, USA.  My Grandfather, Dominic Scalisi was born in Ucria in 1886 , His parents were Vincenzo Scalisi and Concetta Murabito Scalisi who lived in Ucria.  I am coming to visit Ucria in the spring of 2015.  I will be in Sicily from May 6th thru May 10th.  I would like to visit the graves of my great garandparents and visit the church my grandfather was baptized in.  Maybe there will be a chance to have a drink or something to eat with some Scalisi’s who still live in Ucria as well.  I was wondering if you know of any rooms to rent in Ucria.  I cannot find any on the internet.  I also want to say that I don’t speak very much Sicilian, but my friend who was born in Roccobalumba is translating for me. 

Thank you and I very much look forward to seeing Ucria.

Vincent Scalisi
Boston MA, USA

(TRADUZIONE)
Ciao,
Il mio nome è Vincent Scalisi. Vivo appena fuori Boston Massachusetts, USA.
Vengo a visitare Ucria nella primavera del 2015. Io sarò in Sicilia dal 6 maggio -10 maggio.
Mio nonno, Domenico Scalisi, è nato a Ucria in 1886, i suoi genitori, i miei grandi genitori Grandi, erano Vincenzo Scalisi e Concetta Murabito Scalisi che ha anche vissuto in Ucria.
Sarò in visita Ucria per vedere la chiesa mio nonno fu battezzato e sarò in visita al cimitero per vedere le tombe dei miei bisnonni. Mi piacerebbe l'opportunità di incontrare e salutare con un po 'di Scalisi che vivono ancora in Ucria e possibilmente condividere tutte le informazioni che possono avere davanti a una tazza di caffè espresso.
Mi chiedevo se vedi camere da affittare in Ucria. Non riesco a trovare alcuna informazione su internet e speravo di potermi aiutare con questo. Voglio anche dire che io non parlo molto siciliano così il mio migliore amico, Frank Aniello nato a Roccapalumba, mi sta traducendo questa lettera.
Grazie e sono molto ansioso di vedere Ucria.
Sinceramente.
Vincent Scalisi
Boston MA, USA




UCRIA E IL CENTRO STORICO: IDEE PROGETTUALI - FASI DEL PROGETTO DI RESTAURO -Maria Scalisi -

UCRIA E IL CENTRO STORICO: IDEE PROGETTUALI - FASI DEL PROGETTO DI RESTAURO
-Maria Scalisi -
Ci troviamo in un centro storico alquanto di interesse: quello di Ucria, centro montano nebroideo, incastonato tra i monti, un centro rurale di grande interesse ma, aimè per lo più abbandonato.
Sarà per deformazione professionale,  sarà che sono figlia di MASTRO SARO, mi piace far conoscere le procedure e i vari step per intervenire su un edificio di interesso storico, artistico,  monumentale e paesaggistico, del nostro paese.
In questo contesto un corretto intervento progettuale di restauro conservativo può essere sostanzialmente inquadrato in tre diverse fasi fondamentali:
Il cantiere della conoscenza;
Le opere di restauro;
Gli interventi di rifunzionalizzazione.
Queste tre fasi ordinatamente elencate, costituiscono i tre diversi ambiti di sintesi operativa del progetto complessivo.
Esse risultano necessariamente dipendenti fra loro e reciprocamente interconnesse, pur caratterizzandosi tuttavia con particolarità proprie, autonome ed indipendenti.
La prima fase, quella della ‘conoscenza’, abbraccia tutto ciò che interviene a definire il bene architettonico e permette di poterne comprendere l’essenza, apprezzandone le qualità.
Riguardano questa fase tutta la serie di ricerche analitiche molto dettagliate ed approfondite che concorrono a ricostruire, documentare ed interpretare il monumento, nella sua complessità e stratificazione storica.
Devono quindi essere parte sostanziale di questa fase:
Le analisi ambientali (relazioni tra sito, paese, territorio) e storica (gestazione, nascita, costruzione, trasformazioni ed evoluzioni del monumento nel suo contesto culturale).
I rilievi architettonici (diretti ed indiretti) per la definizione geometrica, dimensionale, materica, ecc.
Le analisi architettoniche (strutturali, statiche, compositive, distributivo - funzionali, linguistiche, propriamente specifiche, ecc.)
Le valutazioni del contesto (considerazioni socio - economiche, culturali, tradizionali, locali, ecc.)
Le analisi del degrado (individuazione, rilievo e documentazione dei difetti, dissesti delle strutture e degrado dei materiali, delle loro cause intrinseche ed estrinseche).
Le considerazioni di sintesi complessiva delle varie analisi particolari per riconoscere ed accertare, nel suo insieme, tutta la condizione esistente.
La seconda fase, quella del ‘restauro’, concerne tutti gli interventi finalizzati principalmente alla conservazione, al recupero ed alla valorizzazione dei diversi caratteri dell’edificio, nei suoi aspetti propriamente architettonici, storici ed estetici.
Gli interventi di restauro devono quindi essere precisamente indirizzati alla conservazione dei caratteri tipologici, strutturali, formali ed ornamentali dell’opera mentre contemporaneamente sono rivolti alla cauta eliminazione delle aggiunte improprie e delle superfetazioni che snaturano il significato artistico e la testimonianza storica del bene.
In quest’ottica tali interventi non possono che essere eseguiti da maestranze estremamente specializzate e condotti essenzialmente con l’impiego dei materiali originari, applicati con le tecniche costruttive storiche, o comunque specifiche e compatibili.
In dettaglio gli
 interventi di restauro possono essere sintetizzati in opere di:
-pulitura;
-consolidamento;
-protezione;
-riparazione e/o reintegrazione;
-integrazione;
-liberazione.
La terza fase, quella della ‘rifunzionalizzazione’, rappresenta nel contesto del processo di restauro, l’anello di congiunzione ed il possibile tramite di vera diretta fruizione tra la conoscenza del bene e la sua effettiva reale conservazione.
Questa fase deve essere certamente successiva alle due precedenti ed essere determinata come coerente e diretta conseguenza delle stesse.
Sulla base delle profonde valutazioni effettuate dovranno essere verificate le ipotesi di riuso, valutandole essenzialmente con il parametro determinante della compatibilità.
La fase della rifunzionalizzazione riguarda quindi, essenzialmente, il progetto della messa a norma di agibilità e sicurezza dell’intera struttura, che dovrà essere condotta nel più ampio rispetto del monumento, operando con una progettazione specifica scrupolosa, organica ed attenta dei rapporti esistenti fra spazio -funzione ed arredo - impianti, per favorire la convergenza delle diverse competenze tecniche verso un’unica prioritaria finalità.
Dando infine una destinazione d’uso: casa civile abitazione, b&b, casa albergo, edifici o strutture destinati ad attività economiche o sociali, quali negozi, piccole attività commerciali, artigianali e culturali o strutture ricettive.


L’ANGOSCIANTE NOSTRA FRAGILITÀ – L’ARCHITETTURA DEL RIUSO E DEI FIORI - Achille Baratta –

L’ANGOSCIANTE NOSTRA FRAGILITÀ – L’ARCHITETTURA DEL RIUSO E DEI FIORI
- Achille Baratta –
Noi siamo quello in cui crediamo e in cui ci dibat­tiamo con spirito di servizio; perché il domani si coniughi col passato e diventi il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti. Il movimento culturale per il riuso architettonico ora è diventato una spinta per l'economia.
I recenti fatti tellurici che si sono manifestati nel cuore produttivo del nostro Paese ne sollecitano l'attualità e stes­sa responsabilità di chi opera sia nel pubblico che nel priva­to.
Presento uno scritto che tratta questo tema architetto­nico che ha come scopo la divulgazione anche nelle scuole e nello spirito di servizio che ci contraddistingue nel nostro operato a servizio della collettività.
Il libretto è sintetico, è scritto da due donne, una archi­tetto e una ingegnere ed è presentato da un padre vecchio sostenitore del riuso.
Quale migliore occasione per coniugare lo spirito di ami­cizia che ci lega?
Andare oltre la parola è un dovere e con questa mia pro­posta concreta aderisco all'iniziativa che porterà certamente ad interessanti risvolti con una spesa minima per riparlare della Fiera di Messina. Sono questi i concetti fondanti del nuovo credere, del nuovo agire, sono sicuro che questa mia iniziativa che non grava sul bilancio dell'Ente ma che ne aumenta il prestigio e il peso culturale, guardando da un nuovo punto d’osservazione che ne cambia la prospettiva.
Tutto questo mi connota come un classico-contempora­neo tendente alla rivoluzione culturale per un'architettura fuori dagli schemi che diventa quasi poesia.
Tutto questo mi fa piacere, perché significa che il mio lavoro può continuare ad avere un senso anche per le altro generazioni. La poesia deve cercare le costanti eterne al di là delle contingenze, ma per riuscirvi non deve lasciarsi sco­raggiare. Ci sono opere molto importanti, ad esempio quelle di Bilbao, che però si lasciano travolgere dal non senso del mondo.
L'essere umano non è fatto per morire sul posto come i personaggi di Moliere. Per questo, dobbiamo sempre conservare e trasmettere il principio della speranza che è il cuore della vita.
La poesia è la speranza nel linguaggio, l'architettura. In speranza del fare o del rifare perché è un ricamo o una sinfonia e non può avere altri connotati.
Tutto questo nella piena convinzione che la vera architettura poetica è il contrario della solitudine, proprio perché mira a rendere più intenso il rapporto con solitario, rinchiudendosi nella propria differenza, finisce non sopportare più gli altri.
La vicinanza di altri è invece sempre benefica alla poesia. Certo è io ne ho beneficiato tutta la vita. Come dell'amicizia e la lealtà di cordata.
L'architetto, il poeta, il professionista che non scrive e quindi non divulga il suo pensiero, ha un percorso profes­sionale monco e non lascia eredi.
Questa è l’introduzione al libretto edito al 2013, che continua con altre riflessioni e un breve riferimento alle precedenti edizioni che erano rivolte in modo specifico all’abbattimento delle barriere architettoniche e anche di quelle culturali e in particolare si è scritto sull’accessibilità del territorio.
L’accessibilità del territorio e dello spazio costruito oggi si coniuga con la sicurezza e diventa la rappre­sentazione di un problema sociale che coniuga diver­se problematiche che distinguono e fanno la differenza nel cammino verso la civiltà anche in tempo di crisi. Il D.P.R. del 27 luglio 1996 n. 503 (G.U. 303 del 28/12) cambia e amplia il concetto di barriere architettoniche.
Abituarsi al riuso integrandolo in alcuni settori ed ar­monizzando, dopo oltre 30 anni di ombre in materia, le pre­scrizioni ed i criteri progettuali per la realizzazione di edifi­ci e spazi di proprietà pubblica e privata. Viene accentuato il ruolo delle scelte strategiche effettuate al livello di Piani­ficazione Urbanistica e del settore dei Trasporti, per la de­terminazione di un territorio "accessibile" costituito da un'ossatura portante di servizi pubblici raggiungibili e frui­bili da parte di chiunque.
Non è più possibile dimenticare un patrimonio architet­tonico facendolo distruggere dalla mancata redditività. La valutazione dei rischi negli ambienti lavorativi, pre­vista dal D.Lgs. 626/94 ed in particolare del rischio incen­dio, richiede di effettuare concretamente questo raccordo al fine di individuare misure preventive, protettive e gestiona­li coerenti con le caratteristiche ed esigenze dei soggetti particolarmente esposti (lavoratori, personale esterno e pubblico) che presentano ridotte o impedite capacità moto­ rie o sensoriali in forma temporanea o permanente lì volu­me si rivolge ad una pluralità di operatori progettisti, studi tecnici, consulenti, datori di lavoro, responsabili del servizio di prevenzione e protezione aziendali, ma soprattutto alla riqualificazione ambientale può essere più un fatto transi­torio.
Questo libretto divulgativo si rivolge alla pluralità politi­ca, agli operatori, ai datori di lavoro, ai responsabili dei ser­vizi pubblici, a privati, ma soprattutto alla gente comune che va informata e quindi messa in grado di partecipare. L'informazione come dovere di servizio, come dovere pro­fessionale e culturale per crescere ulteriormente nel difficile cammino del progresso e della comunità.
E poi ancor di più una riflessione sulla nostra fragilità che non può solo angosciarci ma va prevenuta e coniugata con la sicurezza e al rilancio economico permanente,
Il termine "barriere architettoniche", entrato nella nor­mativa italiana e nel linguaggio corrente, deriva dall’espressione inglese "architectural barriers", rappresenta tutti gli ostacoli materiali presenti nello spazio urbano ed edilizio che non permettono l'agibilità alle persone fisica­mente svantaggiate.
Un breve accenno anche al danno erariale che occorre rivedere e condurlo al mancato diritto di godere di un edificio pubblico conservandolo e mantenendolo in efficienza.
L’abusiva non può essere soltanto l’edificazione selvaggia e la cementificazione che per fortuna non si rivolge solo alla sicurezza ma anche all’abbandono, non si può abbandonare un tesoro senza una giustificazione motivata e approvata anche da tutte le istituzioni che di fatto per legge approvano solo l’edificazione.
Bisogna certamente guardare al riuso per evitare che i nostri centri storici diventino i centri dell’abbandono e dell’incuria.
Tutto questo è frutto di una filosofia progettuale che è il vero credo di un professionista delle piccole cose che guarda con distacco agli interventi degli ArchiStar che sono la personificazione del grande, che invade e ci confonde solo per lucrare e trasformare il progetto in un elemento pubblicitario che suscita meraviglia in un mondo occidentale che dimentica il problema della fame del mondo.


UCRIA CITTA’ DEI… LUOGHI SACRI - Salvatore Lo Presti –


UCRIA CITTA’ DEI… LUOGHI SACRI
- Salvatore Lo Presti –

Il luogo di culto di cui tratteremo in questa prima uscita di questa rubrica sarà quello più importante e cioè il nostro bellissimo duomo ovvero la Chiesa S. Pietro Apostolo meglio conosciuta come Chiesa Madre.
La Chiesa Madre è sita nel cuore del centro urbano, all’inizio della via Rosario Baratta, adiacente al quartiere Famiglia. Non si hanno notizie circa la data della sua prima costruzione, tuttavia si ritiene che essa risalga a tempi antichissimi, e forse ai primi anni del Cristianesimo. Quella originaria doveva essere diversa dall’attuale, che risale ai primi anni del 1600. Su una delle pietre che compongono il muro del lato sinistro (lato Nord), infatti, vi è incisa la data del 1625.
Occupa un’area complessiva di mq. 1.100 circa. Il suo interno misura una lunghezza di ml. 37 e una larghezza di ml. 20 circa.
Dal lato Est, vi è la porta principale che generalmente viene usata nelle grandi occasioni e durante le feste principali, per il transito delle “Vare”.
Il portone di pietra dell’ingresso principale è riccamente ed abilmente lavorato. Ai due lati vi sono incavate n. 4 nicchie (due per ogni lato), in atto vuote. Vi sono inoltre due magnifiche colonne di pietra (una per ogni lato), poste su pilastrini e sormontate da capitelli di stile corinzio.
Sul frontone del portone vi è scolpito uno stemma raffiguranti due grosse chiavi incrociate (chiavi del “Regno dei Cieli” affidate a S. Pietro).
Tutto il lato Est è chiuso da una cancellata di ferro. Mediante numerosi scalini si può superare il dislivello che c’è tra il piano stradale e quello del portone.
Nel lato Nord vi è il portone secondario, attraverso il quale abitualmente si svolge il transito, nel cui frontone soprastante vi è incisa la seguente scritta:
“TEMPLUS DIVI PETRI 1636 LAPIS INYURIA FRANCITUS ANNO 1840 INTEGRATUS”.
La chiesa è di stile rinascimentale. Il suo interno è composto da tre navate; è molto ampio ed è decorosamente sistemato. La navata centrale, che ha un’altezza di metri 12 circa, poggia su archi a tutto sesto, sorretti a loro volta, da 8 colonne di pietra, snelle ed eleganti e da 4 magnifici pilastri di pietra intagliata. Ogni colonna è composta da un unico pezzo, che poggia su una base cubica ed è sormontata da un bellissimo capitello di stile corinzio. N. 10 ampie finestre disposte 5 per ogni lato, ed altre nella parete dal lato Est, illuminano ampiamente l’interno della chiesa. Per la illuminazione elettrica dell’interno vi sono inoltre appesi al soffitto numerosi lampadari di cristallo a forma di ninfea.
Entrando dalla porta principale si passa sotto una impalcatura di legno, alla sommità della quale si accede mediante una scaletta a chiocciola. Ivi dal 1912 vi è sistemato un magnifico organo che ha un suono dolcissimo, e che fino a poco tempo fa, durante i riti religiosi e la celebrazione dei matrimoni, diffondeva, attraverso la chiesa, dolcissime note. L’organo è stato restaurato nel 2010 per volere della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Messina dalla ditta Arte Organaria di A. & A. Bovelacci.
Nel lato sinistro di detto portone vi è una tomba di marmo bianco, riccamente lavorata, che poggia su due leoni di marmo color marrone. È sormontata da uno stemma gentilizio raffigurante nel lato superiore sinistro un albero con radici nude e nella parte inferiore sinistra un toro affiorante dalle onde marine.
Nel lato destro del portone principale vi è un fonte battesimale di marmo, a fianco di questo vi è il portone secondario, ed immediatamente dopo vi è un altare in muratura su cui, una magnifica statua di S. Pietro, dimora da secoli. Detta statua è di legno ed è coperta con un manto di colore marrone, e tiene alcune chiavi nella mano destra. Essa è antichissima, di autore ignoto, ed il suo stato di conservazione è tutt’ora ottimo.
Segue, sullo stesso lato, un grande Crocefisso che lascia scoprire una profonda espressione di dolore e di pietà. È raffigurato con la pelle di colore scuro e parte del corpo è ricoperta da un manto blu. Le sue ferite, specie quella dei ginocchi, impressionano e commuovono. L’opera è di legno e se ne sconosce l’autore. Dietro il Crocefisso vi è una magnifica tela, pure di autore ignoto, che raffigura la Madonna circondata da molti Angeli, i quali piangono la morte di Gesù.
Di fronte al Crocefisso vi è un magnifico pulpito costruito in cemento armato. A fianco di esso vi è un confessionale di legno.
Le tre navate concludono nel transetto contenente le 3 absidi sul lato Ovest e 2 altari (1 dal lato Nord e l’altro dal lato Sud) Dal lato Nord l’altare fiancheggiato da due colonne contiene due statue una raffigurante “l’Immacolata Concezione” e l’altra che fa vedere “San Giuseppe che tiene per mano Gesù bambino”, di autore ignoto.
A fianco dell’altare appena accennato vi si scorge una tomba di marmo bianco, posta su due leoni di marmo marrone.
Nella rimanente parete vi è un magnifico quadro a olio delle dimensioni di m 1,50 x 2,00, raffigurante S.Antonio Abate, con un libro sotto il braccio sinistro.
Nel lato Ovest nell’abside di destra vi è un primo altare in muratura rimasto rustico, su cui vi dimora da lungo tempo la statua in marmo bianco di Maria SS. della Scala.
Nell’abside centrale entro un magnifico cappellone viene conservata la statua del Signore della Pietà. Nella cupola dell’abside, fino all’anno 1958, epoca in cui la chiesa subì profondi restauri, vi era raffigurato il Padre Eterno dimezzo ad un cumulo di nuvole, con le braccia aperte, in atteggiamento di invitare gli Ucriesi a rifugiarsi nel suo regno. La figura ad Olio del Padre Eterno misurava metri 6 x 10, circa.
Il cappellone è fiancheggiato da quattro colonne. Nella parte alta è raffigurato il Trono di Dio. Quattro magnifici angeli disposti a forma di corona, sorreggono uno stemma gentilizio. A sinistra della cappella vi è scolpito un bellissimo angelo intento a mostrare le vesti delle quali fu spogliato Gesù (Sacra Sindone).
Tutto il cappellone è riccamente dipinto in oro. Ai piedi del cappellone vi è l’altare maggiore, ampio e decoroso, ricoperto da un magnifico antialtare, riccamente ricamato in oro. A destra di detto altare vi è scritto: “ERECTA 1685”.
Ai due lati dell’altare vi sono due sedie gestatorie, le quali lasciano un ampio spazio che serve per l’accesso nella parte posteriore del cappellone, da dove una porticina consente l’uscita all’aperto.
Nell’abside sinistra invece vi è un bellissimo altare rivestito di marmo bianco riccamente intarsiato. In esso vi si conserva il SS. Sacramento, da secoli perpetuamente illuminato da due lampade d’argento, alimentate ad olio.
Dopo l’altare maggiore, l’altare che meglio risulta arredato è quello esistente nel transetto sul lato Sud. Nel suo interno vi è un magnifico pannello ligneo riccamente e abilmente intarsiato, da mano ignota. Il pannello è contenuto tra due colonne di pietra, alla sommità delle quali vi sono scolpite figure varie ed angeli. In alto vi è posto uno stemma di pietra raffigurante un leone rampante; a centro di detto stemma vi è scritto: “ALTARE PRIVILEGIATUM”.
Sull’altare vi è posta una bellissima statua di marmo raffigurante la Madonna della Grazia col bambino in grembo, in atteggiamento quasi di pianto. Essa è di autore ignoto ed è in ottimo stato di conservazione.
Nella navata laterale a Sud, nell’altare che segue vi è posta la statua di S. Francesco d’Assisi, intento a contemplare il Crocifisso. È un’opera in carta pesta di Luigi Gualcì, di Lecce. Nel marmo antistante l’altare vi si legge: “PAX ET BONUM”. A fianco dell’altare vi è la porta d’accesso alla sacrestia. Sulla parte alta della porta vi è un quadro raffigurante la Madonna della Lettera, padrona di Messina, col piccolo Gesù in braccio, sul cui capo due angeli sono intenti a collocare una corona di fiori.
Segue un altro altare la cui parte superiore è rustica mentre la parte inferiore è ricoperta con marmo grigio. Su di esso vi è posta la statua del Sacro Cuore di Gesù, ai cui piedi vi sono due angeli. L’opera, che è di gesso, è dello scultore Luigi Santifaller di Ortisei (Bolzano).
A fianco di predetto altare vi è un piccolo quadretto di S. Rita, ed a fianco a questo una nicchia ai piedi della quale vi è un altare rimasto rustico. Sopra il predetto altare vi è posta la maestosa immagine della Madonna del Rosario, ai piedi della quale vi è scritto: “AVE MARIA”.
La statua , che è di autore ignoto, è di cartapesta e sotto di essa vi sono le statue di S. Domenico e di S. Caterina. Vi è inoltre un’altra statuetta di S. Antonio di Padova, intento ad offrire pane ad un poverello. L’opera è di gesso ed il suo autore è Ferdinando Stufflessar.
L’ultimo altare esistente dal lato Sud è interamente ricoperto con pregiato marmo di vari colori. Su di esso vi è posta la statua dell’addolorata, di grandezza quasi naturale, con un pugnale immerso nel petto. L’opera, che è di cartapesta, è dello scultore Luigi Guaccì di Lecce.
Sotto il livello del pavimento vi era un vastissimo ossuario, dove venivano tumulati i defunti, alla rinfusa, fino alla istituzione dei cimiteri.
Il soffitto ligneo è sostenuto da capriate palladiane e puntoni nella navata centrale, e da mezze capriate e puntoni nelle 2 navate minori. Al centro del soffitto ligneo della navata centrale, vi è riprodotto l’effigie del Signore della Pietà.

IL SIGNORE DELLA PIETA’ PROTETTORE DI UCRIA

La chiesa Madre di Ucria, sin dalla sua originaria costruzione risalente probabilmente agli albori del Cristianesimo, fu dedicata a S. Pietro Apostolo, in onore del quale per molto tempo si organizzarono riti religiosi e festeggiamenti. Più tardi, però, in epoca imprecisata, col sopraggiungere della statua del Signore della Pietà in Ucria, la maggiore attenzione e la più profonda devozione si spostarono su quest’ultimo, trascurando la devozione verso      S. Pietro.
La data sotto la quale la statua in parola raggiunse Ucria è assolutamente ignota e perciò si fa strada la leggenda, secondo cui in tempi remotissimi, la statua stessa, partita da lontano, giunse in Ucria, da dove avrebbe dovuto proseguire per altri luoghi. Ma giunta dove oggi sorge la chiesa Madre, per divina volontà, volle fermarsi e rimanere sempre per INDICARE AGLI UCRIESI LA VIA VERSO IL CIELO. Nella medesima vi è infatti scritto testualmente: “UCRIAE SPES, VITA, SALUS, PIETATIS, IMAGO: HIC PEREGRINA SEDENS PANDIT AD ASTRA VIAM”.
Il Signore della Pietà è raffigurato in una statuetta di modeste dimensioni con la pelle bronzea, a somiglianza della statua della Madonna del Tindari. L’opera è in legno e di autore ignoto. Dietro di essa vi è una croce, nel suo lato destro vi è una colonna e nel lato sinistro una scala. Sulla scala vi sono appese un paio di tenaglie un martello e tre chiodi. Vi sono appoggiati ad essa, inoltre, lo scettro ed una lancia, ossia, gli oggetti che servirono per la crocifissione di Gesù. Le sue mani sono legate e sul suo capo poggia una corona di pungentissime spine. Il suo atteggiamento esprime dolore e pietà. La data, il luogo e il modo come sia stata offerta ad una così leggendaria e secolare devozione si sconoscono, si ritiene però per certo che il simulacro sia pervenuto dall’Oriente, così come lo lasciano indovinare i lineamenti bizantini e il colore bronzeo del viso. Il materiale impiegato (legno), ci dice che la data di costruzione debba essere antichissima, se si tiene conto che l’arte pagana scolpiva legno le sole parti visibili che non venivano coperte con manto o vesti, mentre le parti nascoste venivano lasciate nude, o soltanto abbozzate. Poiché e fuori dubbio che la statua è cristiana, raffigurando Gesù Cristo legato alla colonna e incoronato di spine, questa deve ritenersi risalire al trapasso religioso avvenuto nella stessa epoca artistica, o durante la dominazione bizantina (535-827).

IL CAMPANILE DELLA MATRICE

Il campanile della matrice è di recente costruzione e di stile moderno. Sorge su un’area quadrangolare ed è sito nelle immediate adiacenze della Matrice, da cui si accede per mezzo di una ripida, stretta e scomoda scaletta di ferro e di una passerella che unisce la matrice al campanile.
La costruzione risale al decennio 1920-30. La sua base misura una superficie di mq. 36 circa, ed un’altezza di mt. 20 circa. La torre campanaria, da cui si scorge un magnifico panorama, è provvista di n. 4 campane di diverso diametro.
Sulla stessa torre campanaria vi sono istallati degli alto-parlanti, attraverso i quali la voce dei religiosi, e i loro appelli si possono diffondere e giungere agli orecchi dei fedeli.

Il campanile termina a forma di cono. Dal lato Est della facciata esterna del campanile, all’altezza di mt. 8 circa, nell’anno mariano 1954 fu collocata, entro una cappellaccia, una bellissima statuetta dell’Immacolata Concezione, ai piedi della quale vi è scritto: “AVE MARIA”.

ANGOLO DELLA GASTRONOMIA: I RICETTI SICILIANI: “A CAPUNATA” - Antonina Maria Orifici - Concetta Basilia Spatola –

ANGOLO DELLA GASTRONOMIA: I RICETTI SICILIANI: “A CAPUNATA”
- Antonina Maria Orifici -  Concetta Basilia Spatola –

Per i turisti che vogliono conoscere la nostra gastronomia tipica siciliana e ucriese, vi presento delle ricette culinarie tradizionali e folkoristiche della cucina rustica siciliana, dettate da mia mamma, e prese dal mio libro “Il gioiello della cucina”, scritto da me inseguito ad un progetto a scuola “Scopriamo il dialetto”, ascoltate il mio messaggio:
<<U libru mia voli essiri ‘na guida pa fimmina siciliana e pi tutti li cristiani. Liggiti i ma ricetti fimmini fimmini cercati chi truvati lu tesoru mucciatu ‘dda bedda siciliana>>.

ANEDDUTU: Cu fa u fruttu senza piricuddu?

ANTIPASTI: ULIVI CHINI
Si svacanta l’alivi, si prepara muddica,pitrusinu tritatu ccu l’agghiu e si inchinu l’alivi.
(Traduzione: “Le olive ripiene” – Si svuotano le olive, si prepara la mollica, si trita il prezzemolo con l’aglio e si riempiono le olive.

CAPUNATA DI MIRINCIANI
Tagliati a pizzudda i mirinciani nivuri ccu tutta la scorcia, mittitili nillu scolapasta, salatili assai, mittitici un crupecchiu e un pisu d’incapu e lassativi accussi ppi karki ura a sculari, finu a quannu non hannu pirdutu lu sucu amaru.
Tagliati fini fini ddu cipuddi e suffriglitili nni iuncitici du pumadoru senza peddi.
Dopu karki minutu, a la sarsa iuncitici 200gr di alivi bianchi, 150 gr di cchiappera, 2 cimi di accia a pizzudda.
Mittiti lu Sali e faciti cociri tutti cosi a foci lentu, lavati ppi nna ‘anticchia li mirinciani, assiugatili e friitili.
Iuncitili nna cucchi arata e mezza di zuccuru e nnu bbicchireddu d’acitu, arri minati e lassativi riffriddari.
(versione italiana: Caponata di melanzane. Tagliare a pezzetti le melanzane nere con tutta la buccia, metterle in uno scolapasta, salatele, mettete un coperchio per porvi sopra un peso, in modo da far perdere l’acqua e si lasciano cosi per qualche ora a scolare, fino a quando non hanno anche tutto il succo amaro. Tagliate fine fine due cipolle e friggetele nell’olio. Quando saranno soffritte e trasparenti, metteteci due pomodori senza pelle. Dopo qualche minuto metteteci 200gr di olive bianche, 150gr di capperi, il sedano a pezzetti, mettete il sale e fate cuocere tutto a fuoco lento. Lavate le melanzane, asciugatele e friggetele.
A cottura ultimata si mette l’aceto e lo zucchero, girate e lasciate raffreddare.

*  *  *
Ringrazio il Gruppo Culturale Ucriese Ranieri Nicolai, tutti quanti e in particolare l’ingegnere Maria Scalisi per avermi dato l’opportunità di scrivere e partecipare al Giornalino, poiché io amo molto scrivere, grazie, grazie di cuore.
È bello vivere in comunità, realizzare e valorizzare il proprio paese, incrementando cosi la cultura.

Vi raccomando lettori, rimaniamo uniti, ed è vero il detto: “L’unione fa la forza”, lottiamo e andiamo avanti, portiamo avanti questa grande iniziativa culturale perché la cultura è vita.

CRAA CRAA CRAA - Gino Murabito -

CRAA CRAA CRAA
- Gino Murabito -
Quel tuo gracchiar
che giovin baldo tanto odiai
al tardo udir dolce mi suona.
Nei solitari dì
lungi dal blaterar fluente
il tuo craa craa che al vento affidi
apre il sordo cuor mio
a squarci di sopiti sogni.
La quercia che l’inverno ignuda
non lasci mai
dandomi la gioia di mirarti
amica mia!
È tarda primavera e teco m’involo
a volteggiar nella demone val.
Miro valli e monti di verde ammantati
borbottanti ruscelli di linfa ripieni
ruderi, ville,
animali e umani di cibo a perenne ricerca.
Craa craa craa com’è bello volar
com’è dolce sognar.
Muginò




IL GIORNO DELLA MEMORIA. UN PENSIERO ALLA SHOAH. - Valentina Faranda –

IL GIORNO DELLA MEMORIA. UN PENSIERO ALLA SHOAH.
- Valentina Faranda –

L´ultima, proprio l´ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
- così gialla, così gialla! -
l´ultima,
volava in alto leggera
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno 
sarà la mia settima settimana 
di ghetto...
Ma qui non ho visto nessuna farfalla.
Quella dell´altra volta fu l´ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto
.
                                                                Pavel Friedmann, da Vedem, 4 giugno 1942                 
Pavel Friedmann è l’autore della poesia “La farfalla” che sopra ho riportato, Pavel Friedmann era un ragazzo di ventuno anni che ha perso la vita nei campi di concentramento nazisti negli anni quaranta del novecento.
L’Olocausto o più correttamente la “Shoah” (distruzione) consistette nello sterminio di un numero compreso tra i 5 e i 6 milioni di ebrei, di ogni sesso ed età.
A questo scopo in tutta Europa sono stati allestiti campi di concentramento per accogliere tutti gli “indesiderati” una definizione che comprendeva non solo gli ebrei ma anche oppositori politici, comunisti, gruppi rom, disabili e omosessuali.
Per ricordare e non dimenticare le vittime della follia nazista è stato scelto un giorno, il 27 gennaio,  come giornata di commemorazione delle vittime dell'Olocausto. La data è stata scelta in ricordo della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio 1945 ad opera delle truppe sovietiche dell'Armata Rossa.
Tante volte succede che celebriamo eventi di cui conosciamo tanto eppure non conosciamo nulla. Abbiamo tantissime informazioni su questa “razionalissima follia” che è stata la Shoah, eppure siamo così lontani da essa…
Il giorno della memoria è un tributo al ricordo di quell’avvenimento, ma è un qualcosa che io, come persona fisica, non posso ricordare perché non ho vissuto. È qualcosa a cui mi sento vicina, come essere umano, perché storie come questa devono essere ricordate sempre, per non dimenticare quanto davvero possiamo essere capaci di fare del male. Eppure è sempre diverso dal ricordare … Io ricordo ciò di cui io stessa ho memoria.
Queste poche righe, scritte da un ragazzo qualunque, diventato famoso a causa di una storia brutale e mondiale come questa mi hanno fatto guardare questa giornata da una prospettiva diversa …
I suoi occhi si sono soffermati su una farfalla…
Forse perché in luoghi come quello, in cui lui si trovava, i colori non si vedevano spesso, forse perché la vita non era più così normale, forse semplicemente perché quella farfalla gialla era bellissima e di cose bellissime lì non se ne vedevano …
Il suo pensiero è rivolto alla vita, quella vita che non si sentiva più di avere perché quando vieni privato della libertà, della dignità di uomo e del tuo stesso nome è come se non vivessi.
Il giorno della memoria è un giorno come gli altri, per noi che non abbiamo vissuto quella storia, un giorno in cui è d’obbligo pensare che storie come questa non devono ripetersi, un giorno in cui è d’obbligo sentirsi almeno un po’ tristi perché milioni di persone hanno trovato la morte in un modo assurdo e brutale, lontani da casa, privi della loro identità …
Erano numeri, non persone …
Non so se chi mi sta leggendo ha mai letto questa poesia prima, indipendentemente da questo, nella memoria di questa tragedia che ha segnato il mondo per sempre, io ho scelto di pensare a quella farfalla, forse l’ultimo bel ricordo di Pavel, perché il suo modo di cercare il positivo quando non c’è niente di positivo, anche solo per un momento fugace  è un insegnamento, è l’invito a non perdersi mai d’animo, ad avere il coraggio di affrontare questa vita che spesso può essere crudele.
Ho scelto di celebrare non il ricordo di quella tragedia che io stessa non ho vissuto ma la forza e l’umanità di chi ne ha fatto parte, attraverso le sue stesse parole.
Per non dimenticare mai che l’uomo è capace dei più grandi crimini ma c’è anche chi è capace, anche nello sconforto, di stupirsi per volo di una farfalla, di guardare alla libertà come all’unica cosa davvero importante.
Perché essere uomini significa prima di tutto essere liberi, liberi di scegliere chi voler essere, liberi di scegliere in che fede credere, chi amare, liberi di sentirsi se stessi.


LA LEGENDA DEL MONTE - Antonino Pinzone –

LA LEGENDA DEL MONTE
- Antonino Pinzone –
Si racconta, molto molto tempo fa, che Ucria era su un Monte e si chiamava Keira (villaggio).
Un giorno ci fu un terremoto: il monte crollò.
Decisero di costruirla più sotto e diedero un nome a cui aggiunsero una “V” e diventò Veria.
Poi piacque più e decisero di mettere la “K” e diventò Keria.
Molto tempo dopo non piacque più e misero la “O” e diventò Ocria.

Negli anni la criamarono con l’odierno nome: UCRIA.

SECOLI DI... (testo e musica di Nino Rigoli)

SECOLI DI...
(testo e musica di Nino Rigoli)
Secoli di odio, secoli d'amore
Secoli di fame, quando cambierà?
Secoli di odio, secoli d'amore
Secoli sdi storia, come finirà?
(L'universo in me, L'universo in me)
IO NON HO MAI VOLUTO NIENTE DI SPECIALE CHE NON FOSSE AMORE
CHE NON FOSSE IL CIELO, CHE NON FOSSE IL MARE TRASPARENTE IN ME

IO LO SO COSA VOGLIO, MARGHERITA E' UN GIGLIO, CON LEI FACCIO UN FIGLIO
PETALI ROSA PRENDO TE MIA SPOSA, VIENI VIA CON ME
(L'universo in me, L'universo in me)
Secoli di odio, secoli d'amore
Secoli e progresso...Quale equilibrio c'è?
Secoli di odio, secoli d'amore
Secoli che il mondo, gira per amore...Se gira è per amore
(L'universo in me, L'universo in me)
IO NON HO MAI VOLUTO NIENTE DI SPECIALE CHE NON FOSSE AMORE
CHE NON FOSSE IL CIELO, CHE NON FOSSE IL MARE TRASPARENTE IN ME

IO LO SO COSA VOGLIO, MARGHERITA E' UN GIGLIO, CON LEI FACCIO UN FIGLIO
PETALI ROSA PRENDO TE MIA SPOSA, VIENI VIA CON ME
(L'universo in me, L'universo in me)

Contrappunto
IO NON HO MAI VOLUTO NIENTE DI SPECIALE.......................




"IL MESTIERE DEL MEDICO" - Mario Angelo Nici -

"Ieri sono andato in ospedale e sono sceso nella chiesetta al piano seminterrato: mi sono reso conto di esserci entrato in precedenza solo una o due volte, negli ultimi dieci anni. La piccola cappella, ricavata da un vecchio ambulatorio, era deserta e profumava di incenso, ma appena appena, come un vago sentore, un ricordo sfocato di Natali lontani e più o meno felici (felici, che vorrà mai dire questa parola).
Non sono mai stato un fervido praticante; credo infatti che sia stato qui richiamato soprattutto da quel senso o bisogno di comunità, che si va perdendo e di cui questa chiesetta vuota appare l'immagine più plastica: quest’anno, in particolare, mi sono trovato a riflettere su alcuni aspetti della mia professione.
Mi sono interrogato, per esempio, sul modo in cui sto lavorando o, per meglio dire, sul modo in cui sto interpretando il mio lavoro.
Il mestiere del medico é particolare, non dico che sia il più bello del mondo, ma ha un suo indiscutibile fascino. C’è qualcosa, nel mestiere che faccio io, che agli altri manca.
Quando un medico si reca al lavoro è come un bicchiere pieno: di ansie personali, problemi familiari, guai di salute. Ma quando arriva in ospedale ha di fronte un altro bicchiere pieno: il paziente. E allora l’unico modo per affrontare degnamente il problema è decidere di vuotare parte del contenuto del nostro bicchiere, accettare l’idea che il bicchiere del paziente sia per forza di cose più pieno del nostro. Come medici, ci lasciano crescere nell’idea che il nostro sia un mestiere puramente tecnico: hanno persino elaborato un nuovo credo pagano a supportare questa teoria, l' EBM, cioè la Medicina Basata sulle prove di Evidenza, quasi che il paziente fosse una "scena del crimine" nei telefilm americani della serie CSI, e invece abbiamo a che fare con le persone. Persone ammalate, talvolta sole, sofferenti o solo preoccupate. Con un bicchiere più pieno del nostro.
Negli anni, forse per un naturale meccanismo di autodifesa, forse per stanchezza o più probabilmente per tutt'e due, il mio approccio con il paziente è diventato sempre più asettico ed impersonale, quasi sfuggente. É emblematico di questa condizione il mio pessimo rapporto con il telefonino. Spesso, infatti, i pazienti esagerano i loro sintomi, sono ipocondriaci, vi tormentano con quesiti clinici a prima vista assurdi, chiamando a tutte le ore, ma tante altre volte, ed è la maggioranza dei casi, il paziente parlandovi urla la sua diagnosi. Si può nella quotidiana e sempre più difficile pratica professionale mantenere una maggiore sensibilità verso questi aspetti, senza gravare troppo e terremotare la propria sfera personale? É faticoso, ma si può e si deve. Ho sempre pensato che il sistema sanitario stia in piedi grazie alle persone che ci lavorano, non ad altro.
Qualche tempo fa mi é capitata una signora impaurita. Era prenotata per eseguire una Tac oncologica di controllo. Dopo anni di calvario, tra interventi, radio e chemioterapie devastanti, aveva perso la voglia e la speranza. All'atto del consenso informato, non voleva più sottoporsi all'esame. Un po' distrattamente l'ho convinta a farlo, come atto dovuto. Alla fine dell'esame, la signora mi ha preso la mano, ha girato verso di me il suo viso all'improvviso dolcissimo ( ma era dolcissimo pure prima, solo che io guardavo senza vedere) e ha detto: "Io non posso vederla, lo sa...la chemioterapia mi ha tolto la vista, però la sua voce mi ha rassicurato, grazie, lei è una brava persona ed un bravo medico".

É stato quasi uno schiaffo in faccia. Perché poi ripensandoci ero io che volevo ringraziare lei, ormai andata via. Ecco, questo pensiero che oggi riaffiora é un po' il mio regalo di Natale: i pazienti, in un modo o nell'altro, consapevoli o inconsapevoli, ci scelgono, non è mai il contrario, e poi bisogna essere all’altezza del compito che ci è affidato, anche quando si è troppo stanchi.
Natale è passato, oggi sono di guardia, tanti auguri a chi non sta bene, a chi sta bene ed a voi tutti".