lunedì 22 dicembre 2014

UCRIA (ME) È IL PRIMO COMUNE DELLA PROVINCIA DI MESSINA AD ESPORRE IL PANE TIPICO NEL “MUSEO DEL PANE RITUALE” DI SALEMI (TP). - Maria Scalisi -



Circa un anno fa, mi è stato richiesto di fare una piccola ricerca riguardante il pane, ed essendo nipote di “Mastro fornaro” e dei “mulinari”, non potevo che accogliere l’idea.
L’iniziativa culturale parte grazie a Gaspare Cammarata, direttore del “MUSEO DEL PANE RITUALE” di Salemi (TP). Nella sua ricerca di pane votivo - rituale e pane tradizionale, proveniente da tutte le provincie della Sicilia, cerca contatti anche nella provincia di Messina … e mi contatta.
 Mio nonno, Salvatore Russo, panettiere ad Ucria negli anni ‘60, mi ha aiutato tanto nella ricerca e grazie anche alla collaborazione del maestro Filippo Marzullo e della moglie Giuseppina Ferro, si ottengono preziose notizie riguardanti le varie preparazioni utilizzate per ottenere le diverse tipologie e forme di pane consumate, prevalentemente, nei periodi di festa:
- “A GUASTEDDA”, preparata nel periodo natalizio, dalle dimensioni molto più grandi rispetto alla solita pagnotta e con la caratteristica di essere decorata con nocciole.
- “A SCALETTA”, prezioso pane che veniva donato ai bambini durante il periodo natalizio. Particolare la lavorazione intrecciata e la caratteristica forma di scala. Anch’esso contornato di nocciole.
- “A CUDDURA”, tipica del periodo pasquale. Era consuetudine intrecciare la pasta di pane con all’interno uova sode.
- “U MINNU”, non era altro che la pasta non lievita rimasta nel fondo della "majdda"  (recipiente di legno utilizzato, in passato, per impastare il pane), detto “lisu”, il quale si raccoglieva e si cucinava per non buttare proprio niente.
Ringraziamo, la collaborazione dei due forni a legna di Ucria (Me): “TRE SPIGHE” di Biundo Vincenza e “ANTICHI SAPORI” di Verdura Giuseppe, i quali si dedicano sapientemente alla valorizzazione ed alla  produzione del pane utilizzando ancora le ricette tradizionali, rendendolo così unico ed inimitabile.

Si racconta...
(Russo Salvatore, il maestro Marzullo Filippo, Giuseppina Ferro).
La preparazione del pane era lunga e laboriosa e spesso richiedeva la collaborazione di tutta la famiglia, per cui il pane di casa si faceva solo un paio di volte alla settimana e veniva conservato per vari giorni spesso avvolto in panni che ne mantenevano la fragranza e la morbidezza.
Ogni volta che si faceva il pane, si faceva “u ripiggliaturi”, un impasto di farina e aceto o si conservava un panetto di impasto crudo dell’infornata precedente, che conservato dentro un recipiente di terracotta o vetro, la sera prima di quando si doveva panificare nuovamente, si impastava quel panetto ormai fermentato e quasi asciutto con farina ed acqua tiepida e lo si metteva in un luogo ben riparato: era “levutu” (lievito naturale) e l’indomani sarebbe stato pronto per lievitare tutto il pane.
Per prima cosa si pesava la farina che veniva “cirnuta” (setacciata con un “crivu di sita” setaccio molto sottile) e poi veniva messa sullo “scanaturi” a formare una piccola montagna. A questo punto si procedeva all’impasto, veniva fatto un cratere al centro della montagnetta in cui veniva adagiato il “levutu” preparato la sera prima, poi si cominciava ad aggiungere acqua, cercando di sciogliere  “u levutu” fino a ridurlo in poltiglia, pian piano, cercando di non far fuoriuscire il liquido contenuto nel cratere, si andava aggiungendo la farina, quando il liquido terminava si versava dell’altra acqua tiepida fino ad imbibire tutta la farina ed ottenere un impasto abbastanza solido, che, la più forzuta della famiglia, cominciava a “scanari”, cioè a lavorare, girandolo e ripiegandolo sullo scanaturi fino ad ottenere un impasto liscio ed elastico. 
La pasta per il pane era pronta e bisognava prenderne un pezzettino per volta e farne pani di diverse forme e dimensioni, ma il primo pezzo veniva conservato come lievito per la prossima panificazione.
Le forme di pane più comuni erano: “u minnu”, “u minnittu”, “a guastedda”, a “cuddura”.
I tipici forni siciliani avevano generalmente forma di un emisfero, con un’apertura a semicerchio, erano costruiti con mattoni compatti di terracotta e murati con gesso, chiudendosi da “a vucca du furnu”, elemento perlopiù in pietra arenaria, e chiusi da una porta in lamiera detta “ciappa”.
Prima di riscaldare il forno per cuocervi il pane, i forni venivano ripuliti con vecchie scope di frasche o di “cimarra”, poiché il pane sarebbe stato poggiato direttamente sui mattoni. 
Gli addetti al forno preparavano la legna (fascine di rami ben secchi e anche pezzi di legna da ardere).
Poi si cominciava ad accendere il fuoco: dentro il forno si preparava una vera e propria impalcatura di legna da ardere a partire dai rami secchi più sottili, il fuoco si propagava facilmente fino a consumare tutto il combustibile, allora il forno veniva liberato dalla cenere con delle scope bagnate e quando era ben pulito, veniva riempito nuovamente di combustibile ed alimentato continuamente fino a quando le sue pareti non diventassero bianche.
A questo punto il forno veniva pulito definitivamente ed era pronto per accogliere il pane, operazione da fare in tutta fretta per non disperdere troppo calore.
Con un coltello ben appuntito, venivano ripresi i disegni che vi erano stati fatti, soprattutto quello centrale (“signatura” ) per permettere al pane di aprirsi durante la cottura, poi veniva deposto sullo scanaturi o su una “maidda”(asse con delle sponde) e portato in prossimità del forno. Qui, ad uno ad uno, i pani venivano deposti su una pala di legno ed adagiati sul pavimento del forno, i più grandi in fondo, i panini, vicini all’apertura, avendo cura di distanziarli tra loro e dalle pareti del forno per dar loro lo spazio di gonfiare senza “ncugnarsi” (attaccarsi gli uni agli altri). 
Finita questa operazione il forno veniva chiuso in gran fretta e la “balata” veniva sigillata con un impasto di cenere ed acqua perché non si disperdesse il calore. Dopo almeno una ventina di minuti, si socchiudeva la balata e si controllava la cottura: se non c’erano problemi, si risigillava, e, controllando di tanto in tanto si attendeva la cottura completa; se i panini piccoli situati appositamente vicino all’uscita erano già cotti si tiravano fuori in tutta fretta e si lasciava cuocere il resto della fornata.
Alla fine le pagnotte venivano sfornate (sempre con la pala) e adagiate in ceste o sull’asse e messe sul tavolo a intiepidirsi.
IL MUSEO DEL PANE RITUALE si trova nel centro storico di Salemi, ospitato all’interno di un palazzo e vi si accede attraverso un cortile con due archi di pietra Campanedda.
Il Percorso espositivo del Museo del Pane Rituale comprende tre sezioni: Pani della tradizione salemitana, pani regionali  e pani  esteri. 
Nella sezione PANI DELLA TRADIZIONE SALEMITANA, oltre alla famosissima Cena di San Giuseppe, si possono ammirare  i pani di Sant’Antonio Abate, San Biagio, San Francesco di Paola, Sant’Antonio da Padova,  San Nicola Da Tolentino, Santa Elisabetta D’Ungheria  ed inoltre “U Peri di Voi” , “ u Carcocciulu”, “ u Pani di Morti o Manuzzi” , “ u Cannatuni” , “ i Mustazzola”, e “ i Cannalicchi”. Molto particolari sono i pani che si preparano nel quartiere Arabo del Rabato in occasione della festa di San Biagio “i Cudduredda di San ‘mBrasi”  che rappresentano la gola e piccolissime forme di pane azzimo che ricordano un’invasione di cavallette  che nel 1542 stavano distruggendo le messi  e scacciate per intercessione del Santo  “Cavadduzzi”  
Numerosi Pani artistici sono presenti anche nella sezione PANE DELLA TRADIZIONE REGIONALE, tra i quali figurano: i Pani di San Giuseppe di : Santa Croce Camerina, Santa Margherita Belice, Castelvetrano, Chiusa Sclafani, Camporeale, Alcamo, Palazzo Adriano, Partanna, Avola, Prizzi, Mazara del Vallo c/da Costiera e Poggioreale. Inoltre  “ i Cucciddati ‘nCarrozza” di Vita e Calata fimi, “a ‘nFasciatedda” di Buccheri, “U Pupu di San Caloiru” Paesi della provincia di Agrigento, il Pane di Sant’Alessandro di Barrafranca, i Pani di San Nicola di Mezzojuso e Contessa Entellina.
La terza sezione del Museo PANI DELLA TRDIZIONE ESTERA non è ancora fruibile per lavori di restauro dell’edificio.
Oltre alle sale espositive è presente un LABORATORIO DIDATTICO un vero e proprio workshop  dove si potranno apprendere le tecniche artigianale della lavorazione dei pani.











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