LA FONTANA
- Angela Niosi
-
Ogni quartiere ne aveva una.
Sporgeva dal muro
con un rubinetto a forma di margherita che finiva con una piccola
proboscide; di solito era arrugginito e si faceva fatica a girarlo. In più,
c’era sempre qualcuno con una forza superiore che l’avvitava così stretto- per
non farlo gocciolare e quindi spardare acqua - si giustificava, che ci voleva
una forza equivalente per riaprirlo.
Sotto alla fontana, un semicerchio di pietra circondato
da un cordolo, permetteva di appoggiare secchi, bagnaroli, bumbuli e quartari
che venivano riempiti per le necessità della casa.
Bisognava andare all’ora giusta perché , se ci andavi
nell’ora di punta, rischiavi di rimanere in attesa anche delle ore. Non era in
vigore il rispetto della fila, c’era sempre il prepotente che aveva delle
improbabili incombenze che l’aspettavano. I bambini, poi, erano sempre ultimi.
Se il recipiente era grande, si andava in due e bisognava
essere ben sincronizzati nel trasporto, altrimenti rischiavi di rovesciarne una
buona parte lungo il tragitto per via dell’ondulazione che faceva sollevare
piccole onde dispettose. Si arrivava a casa sempre mezzi bagnati.
Circolava una leggenda che sentivo raccontare da bambina.
Si sussurrava che ,di notte, uscivano le magare, sorta di streghe dotate di
poteri malefici. Anche esse andavano a rifornirsi d’acqua alle fontane. Per
potersi servire senza essere disturbate, urlavano e facevano un fracasso di
pentole allo scopo di spaventare le donne che
si recavano a riempire i recipienti a quell’ora ,per trovare la fontana
più libera dall’affollamento del giorno.
In seguito, ho scoperto che non era affatto così.
La verità era che
le urla e il rumore erano provocati da qualche burlone, per fare piazza pulita dei clienti notturni della fontana che fuggivano via
terrorizzati. Ricordo che ero rimasta delusa da questa spiegazione razionale.
Preferivo immaginare streghe forsennate sospese a mezz’aria, lunghi capelli
neri e bocche sdentate, anche se ne avevo un po’ paura.
Ma la regina, per me, era lei: la fontana di via Pozzo.
Era diversa
dalle altre.
Non ti accorgevi di essa fin quando, arrampicandoti lungo
la via che sbandava in curve asimmetriche,non
te la trovavi di fianco. Ne sospettavi la presenza solo un po’ prima di
vederla, nel breve rettilineo che
interrompeva la salita dove ansimavano
le macchine che parevano sempre sul punto di scivolare all’indietro.
Prima scorgevi un accenno di pancia e, quando arrivavi al
breve tratto pianeggiante, lei si mostrava in tutta la sua bellezza. O, almeno così sembrava a me.
Sospesa, assomigliava ad una acquasantiera. Era perennemente umida , con
una peluria di muschio incollata al muro attorno al rubinetto.
L’acqua che ne fluiva era freschissima, le sue erano
nobili origini, proveniva infatti da una sorgiva di un monte incantato.
Dava ristoro ai passanti che si fermavano presso di lei
per rinfrescarsi la bocca oltre che
riposarsi dalla fatica della ripida salita.
Dava ristoro ai bambini, che spintonandosi per la fretta
di riprendere i giochi,attaccavano il muso alla proboscide e bevevano avidamente per combattere la calura delle pazze corse
estive, e poi si asciugavano la bocca gocciolante con il dorso della mano.
Io la consideravo
mia per il fatto che si trovava vicino alla mia casa dalla quale era separata da una lunga scalinata ,occupata
abusivamente da fastidiose ortiche.
Ne ero quasi gelosa e,quando capitava che il rubinetto si
guastasse lasciando scorrere senza controllo l’acqua preziosa, soffrivo con lei
e chiedevo con insistenza a mio padre di trovare un rimedio.
Un brutto giorno
trovai , sopra l’attaccatura del rubinetto ,una scritta stilata con
vernice rossa.
Diceva, ma a me pareva che gridasse, “ACQUA NON
POTABILE”. Dai discorsi dei grandi, capii che erano stati trovati animali morti
dentro il condotto. Fu,
per me, un grande dolore!
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