SANTO SUBITO
- Giuseppe Salpietro -
Per anni, come tutti, mi capitava di guardare la pagina del diffuso
quotidiano locale la Gazzetta del Sud tradizionalmente dedicata ai suffragi ed
alle dipartite. Pochi lo ammettono, ma tutti, di tanto in tanto, danno una
sbirciatina. Un veloce controllo con l’occhio mobile, cercando di scorgere tra
una foto e l’altra del caro estinto il riaffiorare di un ricordo postumo, di
una conoscenza giovanile.
Sappiamo tutti per certo, che molti, indifferenti al sali scendi dello
Spread e del Pil, trovano appagamento nella macabra consultazione.
Immancabilmente, all’individuazione di un conoscente, le frasi rituali di
stupore, si sono alternate con “puvireddu”, “ma cu ci l’avia a diri”, “era
bravo, un SANT’UOMO”. Tutti buoni e Santi diventano nel loculo o sotto terra e
forse è giusto così.
La morte crea una cesura netta con la vita. Cancella il male, facendo
riemergere solo gli aspetti positivi naturalmente presenti in ogn’uno di noi,
anche negli individui apparentemente più
abietti.
Pur non potendomi intestare come fa il “Postulatore della causa”, l’avvio
del travagliato percorso di canonizzazione presso la “ Congregazione per le cause dei
Santi”, organismo della Santa sede che si occupa dei processi di beatificazione,
mi chiedo talvolta, ritenendolo inutile da riconoscere poi post mortem, se il
mio personalissimo concetto di santità possa essere attribuito in vita a taluna
delle persone che ho fin qui praticato.
Ci rifletto solo un attimo, ma pur
non essendo mai stato tenerissimo in genere con il clero, che tanto a parer mio
ha fatto nei secoli per curare più il terreno anziché ambire al Paradiso, certamente
di primo acchito il primo nome che mi viene in mente in un battibaleno è
Carmelo Catalano. Si, proprio il reverendo Arciprete Padre Carmelo Catalano.
Ed allora, lo rivedo con quel suo
faccione mite muoversi lento per il paese, costantemente dentro la sua tonaca
che non sembra proprio appena uscita da una sartoria ecclesiastica di via della
Conciliazione notandosi quella normale usura cangiante del tessuto nero, proprio
come si addice ad un curatore di anime di campagna .
Ovviamente la lentezza è riferita al suo passo, non alla sua condotta di guida. Infatti è noto, senza offesa per nessuno, che quando si muove
in macchina non “si ni parra”, sembra il simpatico roditore messicano del fumetto
Spidi Gonzales, avendo l’abitudine di sfrecciare come un furetto in ogni dove per
fare fronte alle diverse necessità che la sua costante opera di pastore gli suggerisce,
sia all’interno che fuori paese. Se me lo offrisse, accetterei un passaggio, ma
solo per amicizia o cortesia, mal celando una certa diffidenza per la sua guida
che a giudizio dei paesani è a dir poco “sportiva”.
Lo vedo ancora dispensare sorrisi a tutti. Come l’ho visto in più
occasioni pubbliche intervenire con naturalezza incantata facendo sempre con
ostinazione il suo “mestiere” di prete. Infatti, con sistematica normalità e indipendentemente
dalla tematica affrontata, Lui articola sempre con naturalezza un complesso sermone
sull’insieme dei principi della dottrina cristiana e sui sacramenti.
Ebbene si, se a padre Carmelo lo invitate ad un convegno dove si blatera
della crisi economica della nocciola, o
degli effetti devastanti dei ghiri, o dello stravolgimento ambientale o
meteorologico, sempre a “missa va a finire”, sempre e costantemente a predica e
per concludere, di fronte alla complessità dell’argomento imbastito, rimette
ogni cosa alla volontà del creatore con un “come vuole Dio” che placa
definitivamente gli intervenuti tutti.
Non penso conosca il web, non lo vedo nei panni di un frenetico
digitatore di tastiere di computer, ma
certo conosce bene l’arte della comunicazione. Intuì anni addietro, che la sua
comunità di anime è potenzialmente ben più vasta del ristretto nucleo che abita
nel paese, ricomprendendo nel suo alveo tutti
coloro che nel tempo hanno lasciato a malincuore il gruppo con il corpo, ma non
con il cuore.
Lungimirante, fu l’antesignano dei social network, una sorta di arcaico
inventore di facebook casereccio che non ha tramutato il suo sforzo in
ricchezza personale, continuando ad abitare la sua “sgarrupata” Silicon Valley
di Ucria. Tutti parrocchiani dovevano diventare pensò, ed allora si inventò
il giornalino parrocchiale “Lettera alle
famiglie” che utilizzò per stringere, come attorno ad un braciere, le tante anime
sparse per il mondo, alle quali offrire informazioni dirette: nati, morti,
matrimoni, nozze d’argento e d’oro …( mai, allo stato, una separazione, un
divorzio o una sciarra ), ma anche riflessioni
alte divulgate con un dialogo semplice, quasi francescano, ma capace di toccare
le corde giuste. Più volte mi arrivavano, come ai tanti privilegiati sparsi per
il mondo, buste piene zeppe come fossero i panini della Mac Donald “Big Mac” a quattro strati, contenenti immagini sacre,
libretti e rosari. Incuriosito, mi interrogavo sul costo economico complessivo che
questo povero “parrino” doveva sopportare per la complessa operazione che solo
di affrancatura per ogni singolo plico
costava più di quattro euro.
Anche se tutti gli vogliono bene, arriva al mio pur lontano orecchio un
limite umano dell’uomo prete.
Quale ?? Quello di provvedere oltremisura al bisogno degli indigenti, di
offrire talvolta il pasto ai disagiati o di essere caritatevole con gli ultimi squattrinati.
A me personalmente, che non sono da annoverare (ancora per poco), in nessuna
delle dette categorie, una sera d’estate di alcuni anni addietro, mi portò nel
suo giardino-orticello limitrofo alla
Chiesa Madre, e mi regalò con orgoglio una
piantina di “pitrusino” ottenendo in me lo stesso effetto che provoca il dono
di una cosa rara, tanto era il piacere che vedevo trasparire in lui nel
consegnarmi l’umile vegetale.
Corre Padre Carmelo con la sua automobile da un ospedale all’altro alla
ricerca di “vecchiareddi” non in salute, dei quali a dire il vero nel
circondario non c’è penuria, per non privarli del conforto dei Sacramenti e del
sostegno offerto dall’antica fede, ma rischiando spesso di lasciare “in
tredici” i fedeli che in chiesa aspettano la celebrazione della messa dopo
infinite giaculatorie, litanie e novene .
Penso che, se gli fosse stato consentito, avrebbe stravolto la
toponomastica del Paese dedicandola a tutti
i Santi del Paradiso, lasciando con il nome originario solo le vie: Padre
Bernardino, grande botanico/monaco; Santa Croce; San Leo; San Filippo e San
Michele, ed in aggiunta, come se non bastasse, avrebbe disseminato Santi,
Madonne e “Signuri” in tutti gli slarghi del Paese.
Peccando un po’ di megalomania, ritiene che il suo orticello di “cucuzzi,
mirinciani e pumadoru”, possa accostarsi al Giardino Inglese di Palermo o alla
Villa Bellini di Catania, infatti, giornalmente, come avviene in altri ben più
blasonati luoghi pubblici dotati di orologi floreali con piante sempreverdi, utilizzando
pietre tondeggianti ordinatamente disposte fino a comporre la data del giorno,
ricorda ai paesani che si affacciano dal muretto a protezione della pubblica
via, l’inesorabile passare del tempo.
Nell’amena località nebroidea,il terzo comandamento “Ricordati di santificare
le feste”, più che garbato consiglio agli ucriesi, risuona come forte
sollecitazione che entra dolcemente ma inesorabilmente nei timpani fin dai tempi del suo predecessore padre
Gagliardi. Come un moderno Don Camillo, il personaggio
letterario creato dallo scrittore e giornalista italiano Giovannino Guareschi
interpretato nella versione cinematografica da Fernandel, utilizza
potenti altoparlanti posizionati nei quattro lati del campanile che diffondono la liturgia domenicale in ogni
dove non lasciando scampo a nessuno,
anche a chi s’illude di farla franca seduto comodamente al bar ad indugiare nel
sollazzo tra una birra, una briscola ed una scopa.
Questa si è catechesi. Semplicemente grazie, ed allora, perché aspettare
qualche secolo, SANTO SUBITO !!
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