LA
SICILIA E L’AMERICA
-Achille
Baratta -
Io
e la mia famiglia con tutta la nostra Ucria abbiamo pianto per la partenza dei
nostri fratelli, dei nostri amici e in genere dei nostri compaesani per le
americhe.
Loro
partivano timorosi ma determinati, cercavano quella cosa misteriosa e magica
che da noi non c’era più: LA SPERANZA.
Noi
restavamo attoniti, con le lacrime agli occhi, perché non sapevamo immaginare e
non sapevamo pensare oltre la valle.
Quella
valle verde di noccioleti, che ci dava da vivere era diventata una prigione, e
i coraggiosi partivano con l’impegno economico di tutti quelli che credevano in
quel nuovo mondo che rappresentava tutto e niente. Era il futuro.
Quelle
lacrime e quel dolore collettivo si scriveva attraverso le pagine di ben Lener:
il mondo a venire, ma ancora meglio sull’ultimo libro del Sellerio editore: Palermo: Storia vera e terribile tra Sicilia e America che porta un numero
surreale 1002. Enrico Daglio, l’autore, che vive tra Torino e San Francisco
racconta di una impiccagione collettiva e di fatti avvenuti nella
sconosciutissima Tallulah, trecento chilometri a nord di New Orleans dove, nel
1899, in una calda notte di luglio venivano impiccati i Defatta, cittadini
della nostra Cefalù che in quei luoghi erano immigrati per diventare i dagos, questo era il termine
dispregiativo per indicare i siciliani, considerati dei negri annacquati;
niente di nuovo: ancora i nostri dovevano chiamarci terroni o Magia Savon, a quei tempi noi non esistevamo come
cittadini ma solo plebe da utilizzare.
L’autore scrive: era una caldissima sera d’estate, il 20
luglio 1899. Ma le notizie vennero battute al telegrafo con molte ore di
ritardo, solo quando il telegrafista fu sbendato e slegato. Dicevano che in
località Tallulah, contea (o meglio: parrocchia, all’uso francese) di Madison,
all’estremo nord-est dello stato della Lonisiana, una folla «ordinata e calma,
ma molto determinata» aveva provveduto all’impiccagione – secondo la
consuetudine del linciaggio – di cinque italiani ivi residenti.
I
Defatta erano diventati commercianti di frutta e verdura, con ben due negozi a
Tallulah a cui facevano capo anche carretti variopinti per la vendita
ambulante, ma poi: “Succinte, ma comunque
incredibili, le ragioni dell’impiccagione collettiva. Tutto era cominciato con
una capra, di proprietà di uno dei Defatta, che era solita brucare erba nel
prato dell’ufficiale sanitario del paese, il dottor J. Ford Hodge. Questi si era lamentato diverse volte, ma
non avendo avuto soddisfazione, all’ultima intrusione aveva ucciso la capra
con un colpo di pistola. Il gruppo dei siciliani aveva giurato vendetta e uno
di loro aveva sparato al dottor Hodge, ferendolo seriamente. Da qui la reazione
della cittadinanza, circa duecento persone che avevano iniziato una caccia
all’uomo. Due di loro erano stati catturati in prossimità dell’aggressione al
dottore; altri tre lontani dal fatto. I cinque, già malvisti in paese per il
loro comportamento violento e aggressivo, erano stati giudicati colpevoli di
complotto per uccidere il dottore e in procinto di instaurare un regime di
terrore nel paese di Tallulah; e quindi impiccati”.
Ma
ora rincontrare i nostri è una festa usciamo da quel letargo di dolore e ci
riprendiamo ancora per mano e percorriamo un unico nuovo sentiero: quello della vita in tempo reale che ci
permette di dialogare e ci permette di dialogare e perché no? Quello di amarci
dei nostri fiori e dei nostri profumi, declinati con una nuova lingua, quella
dell’uguaglianza e della solidarietà. Sarà un mondo utopico certamente, ma a
noi che ci importa? Senza utopia e senza speranza non c’è vita e ne vogliamo
vivere, per ballare ancora la tarantella a suon di fisarmonica, mandolino e
marranzano. È questo un vero tema
portante di chi scrive nella convinzione che esiste un MONDO avvenire migliore.
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