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Antonella Algeri -
Si premette che le
informazioni sulle malattie rare e non,
hanno unicamente scopo divulgativo e ovviamente non devono in alcun modo
intendersi come sostitutivi del parere medico.
Detto questo oggi
parliamo di Ipercolesterolemia familiare
(Fonte Wikipedia e OMAR-osservatorio malattie rare).
Quando si parla di
infarto, cardiopatia coronarica e malattia valvolare aortica, in automatico si
pensa a pazienti sopra i 50 anni, ipertesi, in sovrappeso, col colesterolo
alto, ecc.. Purtroppo però questa sintomatologia può colpire drammaticamente
anche bambini e giovani adulti: in questo caso può trattarsi di una patologia
rara e gravemente disabilitante, una dislipidemia
geneticamente determinata. “Si tratta di un gruppo eterogeneo di patologie
genetiche del metabolismo lipidico (es. ipercolesterolemia
familiare e altre dislipidemie)–
spiega la Prof.ssa Claudia Stefanutti – in cui l’alterazione di lipidi e
lipoproteine è tale da comportare un rischio cardiovascolare da alto a
elevatissimo.
Comunque contrariamente
a quanto si pensa, non è il colesterolo introdotto con l'alimentazione ad
aumentare la colesterolemia, ma il consumo di alcuni acidi grassi saturi,
contenuti negli alimenti, anche se non tutti i grassi saturi agiscono nello
stesso modo. I popoli che si nutrono prevalentemente di prodotti animali come
gli inuit delle regioni polari o i masai delle steppe africane hanno delle
colesterolemie minori di europei o statunitensi.
Il Ministero della
Salute Tedesco ha voluto conoscere con precisione questo dato per il proprio
paese. Lo studio VERA del 1993, ha dimostrato che non esiste alcuna
correlazione tra consumo di colesterolo (latte, panna, uova, burro, grassi animali
ecc.) e colesterolemia. Il rapporto smentirebbe un'opinione diffusa secondo la
quale la causa primaria del colesterolo alto sta nel consumo di alimenti
contenenti colesterolo.
Nel mondo circa
una persona ogni 500 ha un’alterazione genetica che causa ipercolesterolemia familiare; l’alterazione che si riscontra più
frequentemente è a carico del gene che codifica il recettore delle LDL. Questo
recettore si trova sulla superfice della cellula ed ha il compito di
“catturare” le particelle di colesterolo LDL ( il cosiddetto colesterolo cattivo), rimuovendole dal sangue.
L’alterazione del gene provoca la formazione di recettori per le LDL
malfunzionanti, ossia di recettori che non sono in grado di rimuovere il
colesterolo LDL dal sangue.
La maggior parte
dei soggetti con ipercolesterolemia
familiare ha ereditato un gene difettoso per il recettore delle LDL da uno
dei genitori ed un gene normale dall’altro genitore.
Conseguentemente,
in questi soggetti, circa la metà dei recettori per le LDL presenti sulla
superfice delle cellule, è correttamente funzionante. In questi casi si parla
di ipercolesterolemia familiare
eterozigote, mentre quando un soggetto eredita il gene difettoso per il
recettore delle LDL da entrambi i genitori, si parla di ipercolesterolemia familiare omozigote. Quest’ultime sono forme di
ipercolesterolemia molto rare, colpiscono infatti circa un soggetto su un
milione, ma anche molto più gravi delle forme eterozigoti.
I soggetti
omozigoti, infatti, sono completamente privi di recettori funzionanti e ad
oggi, non esiste alcun trattamento, dietetico o farmacologico, che da solo o
combinato, sia in grado di ridurre efficacemente il colesterolo estremamente
elevato che è presente in questi soggetti.
In questi casi si
rende quindi necessario ricorrere ad una rimozione meccanica dal sangue del
colesterolo LDL, utilizzando una metodica simile alla dialisi, chiamata LDL-aferesi.
La diagnosi di ipercolesterolemia familiare può essere
fatta clinicamente, sulla base dell’anamnesi personale e familiare del soggetto
ed in presenza di alcuni segni clinici che, per quanto non sempre presenti in
tutti i soggetti, sono indicativi di un’ipercolesterolemia familiare oppure
mediante un test genetico che, attraverso l’analisi del DNA del soggetto,
permette una ricerca accurata dei difetti che possono colpire il gene del
recettore per le LDL o altri geni che sono coinvolti nella regolazione del
metabolismo del colesterolo. Comunemente si utilizza il DNA contenuto nei
globuli bianchi, è quindi sufficiente un
semplice prelievo del sangue per procedere con la diagnosi genetica.
I segni clinici
visibili e più comuni della malattia sono dei rigonfiamenti, detti xantomi,
presenti sui tendini del tallone e delle mani e dei depositi giallognoli sulla
pelle intorno agli occhi (xantelasmi). Meno comunemente si può anche osservare
un deposito biancastro di colesterolo, chiamato arco corneale, a circondare la
parte colorata (iride) dell’occhio.
Poiché se un
soggetto è affetto da ipercolesterolemia familiare i suoi parenti più prossimi
(genitori, fratelli, sorelle, figli) hanno il 50 per cento di probabilità di
aver anch’essi ereditato la malattia, diventa cruciale una valutazione genetica
dei componenti della famiglia, per poter ottenere una diagnosi precoce di
questa malattia.
E’ importante che
la diagnosi di ipercolesterolemia familiare venga fatta il prima possibile
perché il trattamento è tanto più efficace quanto prima viene iniziato.
Una diagnosi
ottenuta in età giovanile permette infatti di poter attuare un precoce
cambiamento nelle abitudini alimentari, negli stili di vita ed eventualmente
anche l’inizio di un’adeguata terapia farmacologica, tutte misure che possono
ridurre l’impatto della malattia nell’età adulta.
L’ipercolesterolemia
familiare è uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare.
La presenza di
elevati valori di colesterolo LDL contribuisce difatti all’instaurarsi di un
processo di alterazione delle pareti dei vasi, noto come aterosclerosi, che a
sua volta è strettamente correlato all’insorgenza di gravi malattie cardio e
cerebro vascolari.
L’aterosclerosi si
manifesta inizialmente con la formazione di cellule ricche di colesterolo
all’interno della parete dei vasi sanguigni.
Questo processo
causa infiammazione, proliferazione cellulare, ulteriori depositi di
colesterolo, formazione di tessuto cicatriziale ed indurimento della parete
vascolare. Tutto ciò ha come risultato finale la formazione di una cosiddetta
«placca».
In particolari
circostanze le placche possono andare incontro ad un processo di rottura in
seguito al quale si formano degli emboli che possono restringere gravemente i
vasi, fino a bloccare completamente il flusso sanguigno. L’arresto del flusso
del sangue comporta un’immediata mancanza di ossigeno dei tessuti colpiti,
provocando nell’organo interessato, danni anche molto estesi, che sono alla
base di gravi malattie quali ad esempio l’infarto del miocardio o l’ictus
cerebrale.
Nei soggetti con
ipercolesterolemia familiare, il rischio di malattia cardiovascolare è
sensibilmente più alto rispetto ai soggetti normali. Tale rischio aumenta con
l’aumentare dei livelli di colesterolo LDL ed è amplificato dalla presenza di
ulteriori fattori di rischio, quali ad esempio diabete ed ipertensione.
Con un adeguato
controllo della colesterolemia attraverso opportune misure dietetiche e farmacologiche,
un corretto stile di vita ed un’opportuna correzione di eventuali altri fattori
di rischio, è possibile ridurre sensibilmente il rischio di insorgenza
dell’aterosclerosi e conseguentemente la comparsa di malattie cardiovascolari
anche gravi.
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