Circa un anno fa,
mi è stato richiesto di fare una piccola ricerca riguardante il pane, ed
essendo nipote di “Mastro fornaro” e dei “mulinari”, non potevo che accogliere
l’idea.
L’iniziativa culturale
parte grazie a Gaspare Cammarata, direttore del “MUSEO DEL PANE RITUALE” di
Salemi (TP). Nella sua ricerca di pane votivo - rituale e pane tradizionale,
proveniente da tutte le provincie della Sicilia, cerca contatti anche nella
provincia di Messina … e mi contatta.
Mio nonno, Salvatore Russo, panettiere ad Ucria
negli anni ‘60, mi ha aiutato tanto nella ricerca e grazie anche alla collaborazione
del maestro Filippo Marzullo e della moglie Giuseppina Ferro, si ottengono preziose
notizie riguardanti le varie preparazioni utilizzate per ottenere le diverse
tipologie e forme di pane consumate, prevalentemente, nei periodi di festa:
- “A GUASTEDDA”, preparata nel periodo
natalizio, dalle dimensioni molto più grandi rispetto alla solita pagnotta e
con la caratteristica di essere decorata con nocciole.
- “A SCALETTA”, prezioso pane che veniva
donato ai bambini durante il periodo natalizio. Particolare la lavorazione
intrecciata e la caratteristica forma di scala. Anch’esso contornato di
nocciole.
- “A CUDDURA”, tipica del periodo
pasquale. Era consuetudine intrecciare la pasta di pane con all’interno uova
sode.
- “U MINNU”, non era altro che la pasta
non lievita rimasta nel fondo
della "majdda" (recipiente di
legno utilizzato, in passato, per impastare il pane), detto “lisu”, il quale si
raccoglieva e si cucinava per non buttare proprio niente.
Ringraziamo, la collaborazione dei due forni a legna di Ucria
(Me): “TRE SPIGHE” di Biundo Vincenza e “ANTICHI SAPORI” di Verdura Giuseppe, i
quali si dedicano sapientemente alla valorizzazione ed alla produzione del pane utilizzando ancora le
ricette tradizionali, rendendolo così unico ed inimitabile.
Si racconta...
(Russo Salvatore, il maestro Marzullo Filippo,
Giuseppina Ferro).
La preparazione del pane era lunga e laboriosa e spesso
richiedeva la collaborazione di tutta la famiglia, per cui il pane di casa si
faceva solo un paio di volte alla settimana e veniva conservato per vari giorni
spesso avvolto in panni che ne mantenevano la fragranza e la morbidezza.
Ogni volta che si faceva il pane, si faceva “u
ripiggliaturi”, un impasto di farina e aceto o si conservava un panetto di
impasto crudo dell’infornata precedente, che conservato dentro un recipiente di
terracotta o vetro, la sera prima di quando si doveva panificare nuovamente, si
impastava quel panetto ormai fermentato e quasi asciutto con farina ed acqua
tiepida e lo si metteva in un luogo ben riparato: era “levutu” (lievito
naturale) e l’indomani sarebbe stato pronto per lievitare tutto il pane.
Per prima cosa si pesava la farina che veniva “cirnuta” (setacciata
con un “crivu di sita” setaccio molto sottile) e poi veniva messa sullo
“scanaturi” a formare una piccola montagna. A questo punto si procedeva
all’impasto, veniva fatto un cratere al centro della montagnetta in cui veniva
adagiato il “levutu” preparato la sera prima, poi si cominciava ad aggiungere
acqua, cercando di sciogliere “u levutu”
fino a ridurlo in poltiglia, pian piano, cercando di non far fuoriuscire il
liquido contenuto nel cratere, si andava aggiungendo la farina, quando il
liquido terminava si versava dell’altra acqua tiepida fino ad imbibire tutta la
farina ed ottenere un impasto abbastanza solido, che, la più forzuta della
famiglia, cominciava a “scanari”, cioè a lavorare, girandolo e ripiegandolo
sullo scanaturi fino ad ottenere un impasto liscio ed elastico.
La pasta per il pane era pronta e bisognava prenderne un pezzettino
per volta e farne pani di diverse forme e dimensioni, ma il primo pezzo veniva
conservato come lievito per la prossima panificazione.
Le forme di pane più comuni erano: “u minnu”, “u minnittu”, “a guastedda”, a “cuddura”.
I tipici forni siciliani avevano generalmente forma di un emisfero, con un’apertura a semicerchio, erano costruiti con mattoni compatti di terracotta e murati con gesso, chiudendosi da “a vucca du furnu”, elemento perlopiù in pietra arenaria, e chiusi da una porta in lamiera detta “ciappa”.
Le forme di pane più comuni erano: “u minnu”, “u minnittu”, “a guastedda”, a “cuddura”.
I tipici forni siciliani avevano generalmente forma di un emisfero, con un’apertura a semicerchio, erano costruiti con mattoni compatti di terracotta e murati con gesso, chiudendosi da “a vucca du furnu”, elemento perlopiù in pietra arenaria, e chiusi da una porta in lamiera detta “ciappa”.
Prima di riscaldare il forno per cuocervi il pane, i forni
venivano ripuliti con vecchie scope di frasche o di “cimarra”, poiché il pane
sarebbe stato poggiato direttamente sui mattoni.
Gli addetti al forno preparavano la legna (fascine di rami ben
secchi e anche pezzi di legna da ardere).
Poi si cominciava ad accendere il fuoco: dentro il forno si preparava una vera e propria impalcatura di legna da ardere a partire dai rami secchi più sottili, il fuoco si propagava facilmente fino a consumare tutto il combustibile, allora il forno veniva liberato dalla cenere con delle scope bagnate e quando era ben pulito, veniva riempito nuovamente di combustibile ed alimentato continuamente fino a quando le sue pareti non diventassero bianche.
Poi si cominciava ad accendere il fuoco: dentro il forno si preparava una vera e propria impalcatura di legna da ardere a partire dai rami secchi più sottili, il fuoco si propagava facilmente fino a consumare tutto il combustibile, allora il forno veniva liberato dalla cenere con delle scope bagnate e quando era ben pulito, veniva riempito nuovamente di combustibile ed alimentato continuamente fino a quando le sue pareti non diventassero bianche.
A questo punto il forno veniva pulito definitivamente ed era
pronto per accogliere il pane, operazione da fare in tutta fretta per non
disperdere troppo calore.
Con un coltello ben appuntito, venivano ripresi i disegni che
vi erano stati fatti, soprattutto quello centrale (“signatura” ) per permettere
al pane di aprirsi durante la cottura, poi veniva deposto sullo scanaturi o su
una “maidda”(asse con delle sponde) e portato in prossimità del forno. Qui, ad
uno ad uno, i pani venivano deposti su una pala di legno ed adagiati sul
pavimento del forno, i più grandi in fondo, i panini, vicini all’apertura,
avendo cura di distanziarli tra loro e dalle pareti del forno per dar loro lo
spazio di gonfiare senza “ncugnarsi” (attaccarsi gli uni agli altri).
Finita questa operazione il forno veniva chiuso in gran
fretta e la “balata” veniva sigillata con un impasto di cenere ed acqua perché
non si disperdesse il calore. Dopo almeno una ventina di minuti,
si socchiudeva la balata e si controllava la cottura: se non c’erano problemi,
si risigillava, e, controllando di tanto in tanto si attendeva la cottura
completa; se i panini piccoli situati appositamente vicino all’uscita erano già
cotti si tiravano fuori in tutta fretta e si lasciava cuocere il resto della
fornata.
Alla fine le pagnotte venivano sfornate (sempre con la pala)
e adagiate in ceste o sull’asse e messe sul tavolo a intiepidirsi.
IL MUSEO DEL PANE RITUALE si trova nel centro storico di Salemi, ospitato
all’interno di un palazzo e vi si accede attraverso un cortile con due archi di
pietra Campanedda.
Il Percorso espositivo del Museo del Pane Rituale
comprende tre sezioni: Pani della tradizione salemitana, pani regionali e
pani esteri.
Nella sezione PANI
DELLA TRADIZIONE SALEMITANA, oltre
alla famosissima Cena di San Giuseppe, si possono ammirare i pani di
Sant’Antonio Abate, San Biagio, San Francesco di Paola, Sant’Antonio da Padova,
San Nicola Da Tolentino, Santa Elisabetta D’Ungheria ed inoltre “U
Peri di Voi” , “ u Carcocciulu”, “ u Pani di Morti o Manuzzi” , “ u Cannatuni”
, “ i Mustazzola”, e “ i Cannalicchi”. Molto particolari sono i pani che si
preparano nel quartiere Arabo del Rabato in occasione della festa di San Biagio
“i Cudduredda di San ‘mBrasi” che rappresentano la gola e piccolissime
forme di pane azzimo che ricordano un’invasione di cavallette che nel
1542 stavano distruggendo le messi e scacciate per intercessione del
Santo “Cavadduzzi”
Numerosi Pani artistici sono presenti anche nella
sezione PANE DELLA
TRADIZIONE REGIONALE, tra i quali figurano: i Pani di San Giuseppe di
: Santa Croce Camerina, Santa Margherita Belice, Castelvetrano, Chiusa
Sclafani, Camporeale, Alcamo, Palazzo Adriano, Partanna, Avola, Prizzi, Mazara
del Vallo c/da Costiera e Poggioreale. Inoltre “ i Cucciddati ‘nCarrozza”
di Vita e Calata fimi, “a ‘nFasciatedda” di Buccheri, “U Pupu di San Caloiru”
Paesi della provincia di Agrigento, il Pane di Sant’Alessandro di Barrafranca,
i Pani di San Nicola di Mezzojuso e Contessa Entellina.
La terza sezione del Museo PANI DELLA TRDIZIONE ESTERA non è ancora fruibile per lavori di
restauro dell’edificio.
Oltre alle sale espositive è presente un LABORATORIO DIDATTICO un vero e proprio workshop dove
si potranno apprendere le tecniche artigianale della lavorazione dei pani.
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